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Come il coronavirus ha cambiato i food influencer

Michele Pacino in arte BaffettoFood, spiega come ha adattato il suo lavoro alla quarantena, aumentando follower ed engagement. L'Italia è ancora un Paese per food influencer? La sua idea.

Michele Pacino in arte BaffettoFood, spiega come ha adattato il suo lavoro alla quarantena, aumentando follower ed engagement. L'Italia è ancora un Paese per food influencer? La sua idea.

L'emergenza Coronavirus ci ha messi tutti sotto chiave. Lockdown per locali e negozi. E tutti a casa, influencer compresi. Ma cosa fa una persona che lavora riversando la propria vita sui social durante l'isolamento forzato? Come fa a tenere vivo il business chi guadagna visitando, ad esempio, ristoranti?
Michele Pacino, conosciuto come BaffettoFood, è l'autore della prima guida su dove mangiare e leccarsi i baffi (anzi il baffetto) a Bari e dintorni. «È un profilo per chi “mangia forte”» dice, citando Cinquanta sfumature di grigio. Con un profilo da 72.500 follower, il food influencer pugliese mostra tutto il cibo che mangia e cucina. Con il lockdown si è concentrato di più su quest'ultima attività, scoprendo che forse Facebook non è così morto come dicono.

 Vita da food influencer in quarantena: ecco cosa è cambiato secondo BaffettoFood.

Chi è BaffettoFood

Michele Pacino, 33 anni, barese, nasce come marketer nell'ambito della ristorazione. Quindi i locali li girava già prima del boom Instagram, per offrire le sue consulenze su restyling, concept e menù.

«Le persone mi chiedevano già dei consigli su dove mangiare e, dato che ero sempre a contatto con chef e che la cucina mi piace, ho fatto nascere BaffettoFood per documentare i posti in cui andavo e i piatti che cucinavo».

I consigli però non bastavano. La gente non si fidava perché «non è pronta al cambiamento, a meno che non sia sicura di ciò che troverà nel locale». Le persone vogliono sapere se mangeranno su tovagliette di carta o se potranno portare il passeggino. E a volte TripAdvisor, con le foto brutte e sfocate, non aiuta. «Per questo io mostro il piatto nudo e crudo, che il ristorante produce di solito». Su questo e sulle risposte lampo ai DM, Michele ha costruito la sua reputazione.

La vita da food influencer prima del Covid-19

«'Grazie a te ho scoperto tanti locali interessanti': ancora oggi, quando me lo scrivono, mi meraviglia – spiega il food influencer – Per me è impensabile pensare che una persona non conosca un ristorante famoso al centro di Bari».

 Prima del Covid-19, in pausa pranzo era sempre tra i tavoli, dai suoi clienti per shooting fotografici dei piatti (che poi si finiva sempre per assaggiare). «Quando non avevo appuntamenti, andavo in posti di cui avevo sentito parlar bene o anche male, documentando tutto ciò che mangiavo».

«Se facessi solo il food influencer, oggi non potrei vivere». Pubblicare post relativi a un ristorante è un'attività che, chi ha i numeri, si fa pagare perché dietro ci sono dei costi: basti pensare solo al cellulare, alla macchina fotografica, agli spostamenti personali.

A volte capita che il locale lo contatti, invitandolo. «Lì nasce un impegno, che ha un costo di visita: devo cambiare i miei programmi e riservare del tempo che avrei dedicato ad altro. Ma devo anche proteggere la mia reputazione. Quindi mi informo: se fiuto che quel posto non è nelle mie corde, spiego perché non posso andarci. Se sono in zona e non ho programmi, ci vado e documento. Anche solo una mia storia (che fa circa 4-5.000 visualizzazioni) è pubblicità».

Se il posto gli è piaciuto, scatta il post su Instagram, che è gratis, ma è automatico. «Se succede e la cosa piace a entrambi, propongo dei pacchetti con strategie di pubblicazione e target specifici. Se il ristoratore accetta, defalco il costo di visita».

Food influencer in lockdown

«Quando hanno annunciato l'inizio delle misure precauzionali contro il Covid-19 ho subito pensato che non sarebbe finita lì, che ci sarebbe stato qualcosa di più grosso, cioè la chiusura con tutto quello che poteva significare per il settore della ristorazione». L'ambiente palpita di preoccupazioni. Si parla di migliaia di serrande che non si rialzeranno più, di ritrovati bizzarri per mangiare fuori in un'improbabile fase due.

«La domanda è: chi avrà voglia di andare a cena con una lastra di plexiglas in mezzo al tavolo? Come faranno a lavorare quei locali che prima facevano 100 coperti e ora ne faranno 30? Chi si sentirà davvero al sicuro?». Le risposte ancora non ci sono.

Nel frattempo Michele ha dovuto cambiare storytelling. Per prima cosa ha pubblicato gratuitamente le liste di tutti i locali che fanno delivery nella provincia di Bari e Bat, «un servizio per utenti e ristoratori». Ha messo su un webinar gratuito con altri professionisti della ristorazione (Elia Calò, bartender liquorista e sommelier; Raffaele Ricupero, customer service;, Vincenzo Paparella esperto di sistemi di acquisizione clienti).

Ha trovato il tempo di creare il gruppo su Facebook che desiderava da tempo, scoprendo che questo social è tutt'altro che morto. «È più concentrato. Chi mi segue lì è più interessato rispetto a chi ha messo il “segui” su Instagram e poi magari te lo toglie pure». Per capirci: dopo aver pubblicato la foto della sua Cacio e pepe con la promessa di svelare la ricetta, ha ricevuto più di 100 richieste di iscrizione al gruppo, pur avendo un decimo dei like e follower rispetto a Instagram.

Chiuso in casa con sua moglie e suo figlio, si è rimboccato le maniche e ha iniziato a cucinare (e a ingrassare, ma, si sa, quello del peso è un rischio del mestiere). Mentre intorno a lui gli altri food influencer rallentano, BaffettoFood è cresciuto di 2.300 follower dal 7 marzo a oggi. «Il materiale scarseggia per un vero food blogger, cioè quelli che ci mettono del loro e ora non hanno locali da raccontare. Invece per chi cucina il flusso è raddoppiato». I post guadagnano più like perché, secondo Michele, la gente sta più col cellulare in mano e ha più tempo per scorrere il feed e approfondire ciò che gli interessa.

Food influencer post-quarantena: cosa cambierà

«La prima cosa che farò finita la quarantena, sarà andare a mangiare una pizza e una bistecca, che sono le cose che mi mancano di più – confessa Michele – Le fai anche a casa, ma non sono come quelle che mangi fuori. Ma, a parte gli scherzi, bisognerà vedere come ripartirà il settore».

Secondo il food influencer i ristoranti potrebbero avere due destini: ci sarà il locale che continuerà a lavorare forte, «perché ha un target più giovane, che si fa prendere meno dalla paura. Chi ha un target più alto, potrebbe lavorare meno. Da un lato c'è la voglia di uscire, dall'altro c'è la paura e la mancanza di soldi. Lo scopriremo solo vivendo». Per andare incontro ai ristoratori, Michele sta pensando a un sito in cui presentare bene i locali che visita. «Lato marketing, voglio migliorare e offrire un cambio di strategia a ogni cliente. Ad esempio, ho collaborato con chi fa delivery per aiutarlo cambiare il menù, diminuendo il numero di pizze e scegliendo gusti che non perdono di qualità durante le consegne». 

E l'Italia sarà ancora un Paese per food influencer? «Dipende da come si fa questo mestiere – riflette Michele – Questo è uno di quei casi in cui l'Italia è spaccata in due. A Milano sono visti come una figura importante: anche se il ristoratore non ne ha un'alta considerazione, sa che gli serve. Sotto il Po è un po' diverso. Non sai se ti può servire, non sai se è uno che si è improvvisato. La difficoltà è creata anche da chi non fa bene questo lavoro».

In molti sono convinti che i consigli dei food influencer non siano attendibili perché offerti dietro compenso. A loro BaffettoFood risponde: «Se hai seguito il mio consiglio e ti sei trovato bene in un locale, cosa importa se io sono stato pagato o no per parlarne?».

«Alla riapertura forse il primo pensiero dei ristoratori non sarà quello di fare un tavolo per giornalisti e food influencer, specie se i 30 posti li riempie a prescindere – aggiunge BaffettoFood - Molti mi dicono “quando passerà tutto, ci vedremo nel mio locale”, ma da qui a destinare un investimento su un influencer, ce ne vuole. Nel mio caso potrebbe essere visto come un vantaggio perché so che il tavolo riservato per me una volta frutta altri 10-20 coperti in media. Ma staremo a vedere». Perle di speranza su un futuro al nero di seppia.