Psiche
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Parigi, 13 novembre 2015: «Quella notte ero lì»

Quella del 13 novembre 2015 è una data che non può né deve essere dimenticata. Stefania è una giovane donna che ha vissuto da vicino quell'interminabile notte di terrore. Ce l'ha raccontata.

Quella del 13 novembre 2015 è una data che non può né deve essere dimenticata. Stefania è una giovane donna che ha vissuto da vicino quell'interminabile notte di terrore. Ce l'ha raccontata.

Negli attentati avvenuti a Parigi la sera del 13 novembre 2015 sono morti 130 innocenti. Erano passati 10 mesi dall'attacco alla redazione di Charlie Hebdo: una violenza atroce - poi rivendicata dalla branca yemenita di Al Qaida -, tesa a "punire" gli autori di alcune vignette satiriche su Maometto.

Nonostante brutalità simili siano sempre incomprensibili e inaccettabili, è stata proprio la mancanza di un esplicito pretesto "religioso" a sconvolgere, quel 13 novembre, l'intero mondo occidentale. Se possibile ancora di più di quanto non fosse accaduto nell'attacco precedente, avvenuto il 7 gennaio.

Nella strage di novembre il terrorismo non ha scelto un obiettivo preciso, ma è andato dritto al cuore di Parigi e dell'intero occidente colpendo indiscriminatamente la zona più vivace della città. Una zona brulicante di studenti, ricercatori, giovani lavoratori. Di speranze, di sguardi rivolti al futuro.

Stefania è una giovane donna che da anni vive e lavora nella capitale francese, e quella sera era lì, proprio a un passo dai luoghi della strage. Ci ha raccontato come, dove e con chi ha vissuto quella interminabile notte.

Dove eri quella sera?
Stavo lavorando su rue de la Fontaine-au-Roi, che è a cento metri da dove è avvenuta la seconda sparatoria. La prima era stata davanti al ristorante La Petite Camboge, gli attentatori sono ripartiti da lì e sono arrivati a pochi passi dal locale che gestivo. Era presto, circa le 21, ero con pochi clienti.

Cosa è successo?
Ho sentito dei botti ma non ho subito realizzato. Era molto strano però perché a Parigi non si possono sparare petardi, sono consentiti solo a fine anno.

Quando ti sei accorta che c'era qualcosa che non andava?
Il locale in cui lavoravo ha le pareti a vetro e a un certo punto ho iniziato a veder risalire sulla via persone con la faccia completamente sconvolta. Sono uscita e ho visto gente ammassata in fondo alla strada. Poi è arrivata l'ambulanza.

Tu e i tuoi clienti vi siete avvicinati?
No, non stavamo capendo nulla. C'era un silenzio surreale. A un certo punto si è avvicinato un poliziotto con la pistola in mano e ci ha detto di nasconderci.

Dove vi siete nascosti?
Questo è stato un problema, perché il locale non aveva serrande. Ho chiuso a chiave la porta e ci siamo messi sul retro. Abbiamo iniziato a cercare notizie sul web, ma la cosa strana è che le informazioni su quanto stava accadendo sembrava fossero arrivate prima in Italia che in Francia. Ho ricevuto un messaggio da mia sorella, che dall'Italia mi inviava la notizia di un attacco a La Petite Camboge. Lì abbiamo capito che le sparatorie erano state diverse. Poi abbiamo saputo che c'era polizia anche fuori dal Bataclan.

Un incubo doppio, doversi nascondere e non sapere da chi.
Sì, era tutto molto confuso. A un certo punto un mio cliente ha provato ad affacciarsi e ha visto che la strada era stata completamente militarizzata. Un poliziotto ci fa sapere che qualcuno aveva detto che uno degli attentatori era nel palazzo in cui eravamo noi. Terrorizzati, siamo usciti dalla parte di dietro e ci siamo nascosti, accovacciati, nel locale della spazzatura. E abbiamo iniziato a sentire altri spari.

Chi sparava?
In quel momento non lo sapevamo. Abbiamo scoperto solo dopo che la polizia era entrata nel palazzo e aveva suonato nei vari appartamenti, facendo saltare le porte di chi non apriva. A quel punto alcuni vicini ci hanno sentiti nel cortile, e ci hanno fatto entrare in casa.

bataclan

Una volta al sicuro, siete riusciti a capire meglio quello che stava accadendo?
Sì, i vicini stavano piangendo. Davanti alla tv abbiamo visto il momento in cui la polizia stava entrando nel Bataclan, che è a 50 metri da casa mia. Abbiamo saputo che i  terroristi erano risaliti davanti al mio locale per andare, appunto, al Bataclan. È stato uno shock, mi sono sentita una miracolata. Poi abbiamo passato tutta la notte lì, eravamo 7-8 sconosciuti. Fino alle 5 del mattino anche i locali hanno obbligato la gente a restare dentro.

Tu quando sei tornata a casa?
La mattina dopo. Ho incontrato un poliziotto che mi ha consigliato di non fare quella strada, perché avevano coperto tutto con della sabbia ma c'era sangue ovunque.

Cosa è successo nei giorni seguenti?
Il comune di Parigi ha inviato a tutti noi del quartiere un foglietto informativo per spiegarci cos'era lo shock post traumatico, che si può anche manifestare a distanza di anni. Ha offerto aiuto psicologico gratis a tutti noi del quartiere.

Com'è stato tornare alla vita di tutti i giorni?
Per almeno tre settimane, incontrandoci tra amici, piangevamo. Per tutti è stata una ferita enorme, perché è stata colpita una parte di società che nulla aveva a che fare dinamiche politiche o religiose. Le persone che sono state uccise erano 30enni, 40enni, ricercatori, giornalisti, studenti. Davanti a una violenza simile sei totalmente fragile, indifeso. In città c'erano controlli ovunque, sempre, dai musei ai negozi di abbigliamento. Il clima era pesantissimo. Io avevo paura particolarmente in metro, che è un luogo difficilmente controllabile.

carilon

Frequentavi i locali che sono stati attaccati?
Sì, era in tutto e per tutto il mio quartiere. Lavoravo e vivevo lì. Frequentavo regolarmente Le Carillon e La Petite Camboge.

Era il tuo quartiere, immagino conoscessi molta gente della zona.
Sì, una mia amica era venuta a fare aperitivo da me e subito dopo è andata a cena in uno dei ristoranti attaccati. È stata ferita. Gli attentatori sono scesi dalla macchina e si sono messi a sparare a 4 metri alla gente seduta fuori ai tavolini. Lei di istinto si è alzata ed è scappata dentro il ristorante. Le hanno sparato mentra apriva la porta e l'hanno ferita alla mano, di cui ha perso totalmente l'uso. Non la sente più. I suoi amici si sono salvati. Della sua storia all'epoca si parlò molto perché il gestore del ristorante aveva venduto a una testata giornalistica il video che la riprendeva mentre, in panico, scappava dietro il bancone.

Sul piano psicologico hai avuto ripercussioni?
C'è voluto almeno un annetto perché smettessi di avere paura. Capitava magari in metro di vedere un arabo, e spaventarmi. Una cosa totalmente psicologica, incontrollabile. È brutto, ma è così. Dentro di me è cambiato qualche cosa perché al di là della paura è difficile riuscire ad accettare una cosa di tale violenza. Noi occidentali non ci siamo abituati. Poi pensi a chi si trova in zone di guerra ed è costretto a vivere tutti i giorni questo sentimento di impotenza, questa violenza cieca.

C'era qualcosa che ti tormentava in particolare?
Ho avuto una sorta di crisi mistica perché continuavo a cercare risposte, senza trovarle, alla domanda: "Perché?". Ho cercato di affrontare questa cosa, cercavo conforto nelle religioni, nelle varie scuole spirituali. Stare in quello stato di allerta, di terrore, mi ha sconvolta: quando un poliziotto ti dice "nasconditi" significa che neanche lui può più proteggerti. Questo per me è stato devastante.

Com'è la Parigi del "dopo" 13 novembre 2015?
Parigi è una città profondamente ferita. Ogni anno, in questo giorno, gli abitanti riempiono di fiori tutti i luoghi degli attentati. Non credo tornerà mai quella di prima.

Foto: LaPresse