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La Zoom fatigue è un affare da donne

Se anche tu ti senti esausta dopo una giornata scandita da video call, sappi che non sei la sola. Questa stanchezza ha un nome, Zoom fatigue, e colpisce soprattutto le donne. 

Se anche tu ti senti esausta dopo una giornata scandita da video call, sappi che non sei la sola. Questa stanchezza ha un nome, Zoom fatigue, e colpisce soprattutto le donne. 

All’inizio, tra marzo e aprile del 2020, le video call sembravano quasi un piacevole diversivo. Anzi, una manna dal cielo: la pandemia ci aveva rinchiusi in casa da un giorno all’altro, ma almeno non ci aveva impedito di lavorare e restare in contatto con i nostri cari. Ben presto abbiamo trasferito su Zoom qualsiasi attività della nostra giornata: dalla riunione di lavoro alla visita ai parenti, dall’aperitivo con gli amici alla lezione di pilates. Un anno e centinaia di videochiamate dopo, la routine è più o meno la stessa ma l’entusiasmo generale sta visibilmente scemando. E subentra un apparentemente inspiegabile senso di stanchezza per cui è stato coniato un nome: Zoom fatigue

Zoom fatigue, un effetto collaterale della nostra vita digitale

Ma com’è possibile sentirsi sfiniti senza quasi essersi alzati dalla sedia? È possibile eccome. E non è colpa di Zoom, perché con Skype, Google Hangout o Microsoft Teams il meccanismo è esattamente lo stesso. Secondo uno studio dell’università di Stanford pubblicato da Technology, Mind and Behavior, questa stanchezza è giustificata da svariate ragioni.

La prima: durante una riunione in presenza si guarda negli occhi chi interviene, certo, ma ogni tanto si dà uno sguardo fuori dalla finestra o ci si china sul blocco di appunti. Durante una video call invece tutti fissano gli altri riquadri sullo schermo per tutto il tempo, indipendentemente dal fatto che stiano parlando o meno. Il contatto visivo è eccessivo e innaturale, così come la dimensione dei volti sul monitor, e innesca una sensazione di ansia. Così com’è innaturale vedere di continuo il proprio volto: chi mai si piazzerebbe uno specchio davanti alla scrivania? 

Al contrario di una telefonata durante la quale possiamo passeggiare per la stanza, una videocall ci obbliga a stare immobili davanti alla webcam; anche questo compromette la nostra efficienza cognitiva, avvertono i ricercatori di Stanford. Infine a metterci in difficoltà è anche la comunicazione non verbale che, mediata da uno schermo e incasellata dentro un riquadro, diventa ben più difficoltosa. 

Le donne patiscono di più la Zoom fatigue

Sembra proprio che a patire in modo particolare questa spossatezza siano le donne. A dirlo è un’altra ricerca, ancora in attesa di peer review, realizzata da un team delle università di Göteborg e Stanford. I ricercatori hanno analizzato 10.591 persone, scoprendo che il 14% delle donne lamenta una pesante stanchezza dopo le video call, contro il 5,5% degli uomini. Bisognerà studiare ancora parecchio per ricostruire di preciso le cause, ma una differenza così netta non può certo essere liquidata come una pura e semplice casualità. Può influire anche il fatto che di solito le donne partecipino a riunioni più lunghe, intervallate da pause più risicate.

Semplici trucchi per difendersi dalla Zoom fatigue

Insomma, dobbiamo proprio arrenderci alla prospettiva di arrivare a sera con la testa che scoppia? Non è detto! Le video call continueranno ad accompagnare le nostre giornate almeno per un po’, ma possiamo fare la nostra parte per renderle un po’ più riposanti

I ricercatori di Stanford suggeriscono per esempio di installare una tastiera esterna che ci permetta di allontanare leggermente il monitor. Un altro trucco è quello di disattivare l’interfaccia a tutto schermo: così vedremo soltanto chi sta parlando invece di un fitto mosaico di volti. Dopo aver verificato che l’inquadratura sia corretta, possiamo anche nascondere il nostro stesso viso facendo clic col tasto destro sul nostro volto e selezionando “hide self-view”. O, meglio ancora, disattivare il video e sgranchirci un po’ le gambe. A lungo andare, noteremo la differenza! 

Foto apertura: Kateryna Onyshchuk / 123rf.com