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Be my eyes: come funziona l'app per aiutare i non vedenti

Abbiamo testato Be my eyes, un’app con cui chiunque può offrirsi volontario per leggere un’etichetta o controllare una scadenza: tante piccole cose che possono fare la differenza per la quotidianità di una persona non vedente o ipovedente. 

Abbiamo testato Be my eyes, un’app con cui chiunque può offrirsi volontario per leggere un’etichetta o controllare una scadenza: tante piccole cose che possono fare la differenza per la quotidianità di una persona non vedente o ipovedente. 

Il telefono mi squilla per la prima volta quando sono da poco passate le nove del mattino di venerdì e, come ogni giorno, sono seduta alla scrivania a lavorare. È una signora di una certa età che mi mostra il libretto delle donazioni di sangue, perché ha bisogno di capire se c’è scritto anche il suo gruppo sanguigno. Un paio d’ore dopo è il turno di un’altra signora. Ha fatto il bucato e ha bisogno di una mano ad abbinare le lenzuola sulla base del colore. Sotto la mia guida le suddivide in mucchietti ma, a un certo punto, non le tornano più i conti. “Mi sa che la volta scorsa ho fatto un guaio!”, sorride. Sale le scale, mi mostra la camera da letto e le confermo che, in effetti, si è sbagliata. Le lenzuola sono rosse, ma un cuscino è rosso e l’altro è verde. È il mio primo giorno da volontaria con Be my eyes, l’app che aiuta le persone non vedenti e ipovedenti.

Come funziona Be my eyes

In Italia, su una popolazione di 59 milioni di abitanti, i ciechi sono circa 360mila e gli ipovedenti più di un milione e mezzo; di questi ultimi, sei su dieci hanno più di cinquant’anni. Ogni anno questo numero cresce di circa 100mila unità a causa di ischemie, emorragie e ictus. E si stima che, per via dell’invecchiamento della popolazione, entro la fine del decennio la quantità di persone non vedenti sia destinata ad aumentare del 25% rispetto ai livelli del 2010. 

Le tecnologie hanno fatto tantissimo per la qualità della vita di questa larga fetta della popolazione. Tecnologie come Be my eyes, un’applicazione per smartphone tanto efficace quanto intuitiva da usare. Dopo averla scaricata gratuitamente, ci si può iscrivere in due vesti: utente oppure volontario. Quando ha bisogno di assistenza, la persona non vedente o ipovedente fa partire una chiamata che il sistema indirizza verso i volontari compatibili per fuso orario e lingua parlata (180 quelle supportate). Appena uno di loro risponde, l’app attiva la fotocamera posteriore dell’utente che, così facendo, mostra ciò che ha di fronte a sé e spiega di cosa ha bisogno.

Un sistema semplice e intuitivo

app be my eyes

C’è chi ha bisogno di controllare una lista degli ingredienti, oppure di ritrovare un oggetto caduto per terra, o di sapere quanto manca all’arrivo dell’autobus. Non ci sono limiti al numero di chiamate né alla loro durata: il servizio è gratuito, basta essere dotati di uno smartphone connesso a internet. 

Ma sarà forse un disturbo eccessivo per i volontari? La mia esperienza mi dimostra che non è così: con più di un milione di persone che si sono messe a disposizione, possono passare giorni o settimane senza ricevere nessuna chiamata. E, se il telefono squilla quando si è in riunione, sotto la doccia o in qualsiasi altro momento in cui rispondere è impossibile, basta attendere qualche secondo e subentrerà qualcun altro. 

Cosa ne pensano le persone non vedenti e ipovedenti

“All’inizio ho scaricato Be my eyes per curiosità. Da un paio d’anni la sto usando tantissimo, perché sono andata a convivere con il mio ragazzo che è non vedente anche lui”. Veronica mi racconta la prospettiva dell’utente con la sua voce sicura e squillante (non a caso, lavora come speaker). “Di solito uso l’app per controllare le scadenze, oppure i tempi di cottura di cibi che non ho mai comprato. Quando faccio la spesa online, capita che mi vengano consegnati dei prodotti sostitutivi che non riesco a riconoscere dalla confezione. Alcuni e-commerce poco affidabili vendono prodotti che scadono poco dopo, senza preoccuparsi del potenziale pericolo. C’è ancora questa cultura assistenzialista per cui si dà per scontato che una persona non vedente si faccia leggere le etichette dalla mamma”, continua. 

“Certo, quando le richieste sono un po’ più complicate non è detto che si trovi subito qualcuno che le sa risolvere. Magari si impalla il telecomando e mi risponde una signora anziana che non sa da dove cominciare e si preoccupa pure perché sono in casa da sola”, ride. “Magari in futuro si potrebbero impostare delle categorie, così ogni volontario sceglie gli ambiti per cui vuole e può aiutare”, propone. Perché il bello è che chiunque ha l’opportunità di contribuire all’autonomia di un’altra persona. E basta poco, pochissimo: uno smartphone e pochi secondi di tempo.

Foto in apertura: cristalov/123rf.com