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Francesca Morvillo, molto più della moglie di Falcone

Vittima della strage di Capaci, è l’unica magistrato donna uccisa dalla mafia in Italia. Una professionista appassionata, impegnata nella difesa dei minori. Che ha avuto il coraggio di vivere un amore blindato, accettando di rischiare la vita:“Non si mettono al mondo orfani”, diceva.

Vittima della strage di Capaci, è l’unica magistrato donna uccisa dalla mafia in Italia. Una professionista appassionata, impegnata nella difesa dei minori. Che ha avuto il coraggio di vivere un amore blindato, accettando di rischiare la vita:“Non si mettono al mondo orfani”, diceva.

Dov’è Giovanni? Come sta mio marito?”.
L’orologio di Francesca Morvillo si è fermato alle 17.58 di quel 23 maggio 1992 che ha cambiato la storia d’Italia, quando sull’autostrada Palermo-Trapani allo svincolo di Capaci un’esplosione con 500 chili di tritolo fece saltare in aria le tre Fiat Croma blindate che accompagnavano lei e suo marito, il giudice Giovanni Falcone. Persero la vita anche i tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. La donna, ancora viva dopo l'esplosione, venne trasportata all'ospedale Civico di Palermo, nel reparto di neurochirurgia, dove morì subito dopo a causa delle gravi lesioni interne riportate. 

La carriera da magistrato a Palermo

Francesca Morvillo non era soltanto la moglie di Giovanni Falcone, come quasi sempre, in questi quasi 30 anni, è stata ricordata. Era un magistrato appassionato e brillante. L'unica magistrato donna a essere stata assassinata nella storia d'Italia.

Figlia del sostituto procuratore di Palermo Guido Morvillo, si laureò a soli 22 anni con lode in Giurisprudenza. Già durante gli studi universitari si dedicava all’insegnamento presso alcuni istituti per l’infanzia e un centro di assistenza per i figli dei detenuti dove, attestò il Procuratore di Palermo, si distinse per “l’innata sensibilità e matura conoscenza delle complesse e delicate esigenze della psicologia minorile”. Dopo aver superato il concorso in magistratura, divenne prima giudice del Tribunale di Agrigento, poi Sostituto Procuratore al Tribunale dei minori di Palermo, infine consigliere della Corte di Appello sempre a Palermo e membro della Commissione per il concorso di accesso in magistratura. A Palermo era impegnata soprattutto nella difesa dei minori, materia di cui si è occupata per 17 anni, e spesso aveva a che fare con ragazzi provenienti da famiglie mafiose

L'incontro con Falcone e la vita con la scorta

La sua storia con il giudice Falcone iniziò nel 1979, dopo un incontro a casa di amici in comune. Entrambi separati, iniziarono la loro storia d’amore e una volta ottenuti i rispettivi divorzi si sposarono nel 1986, con un’intima cerimonia civile officiata dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Un matrimonio felice ma pieno di insidie e privazioni, che non poteva concedersi i gesti più semplici della quotidianità di ogni coppia. Lui lavorava a Roma, lei a Palermo e i loro unici momenti insieme li vivevano durante il fine settimana, dal pomeriggio di sabato a quello di domenica. Con loro c’era sempre la scorta, che li accompagnava nella loro vita blindata: nemmeno una banale passeggiata in riva al mare o una cena a ristorante tra marito e moglie erano permesse. Nonostante tutto cercavano di vivere da coppia normale, sapendo perfettamente che in quel grande amore di “normale”, nel senso più bello e semplice del termine, tra minacce, maldicenze e restrizioni, c’era poco.

Francesca sapeva bene che quella sarebbe stata la loro vita, ancora prima di cominciarla insieme: da magistrato che lavorava in Sicilia, era consapevole dei rischi che aveva scelto di correre diventando la moglie di un giudice anti-mafia nel mirino di Cosa Nostra. Forse solo una donna con quella passione per la giustizia poteva in qualche modo accettarli. Come la rinuncia ad avere figli perché, come diceva lei, “non si mettono al mondo orfani”. 

Indivisibili, per amore della giustizia

Nel giugno1989 mentre si trovavano in vacanza al mare all’Addaura, nella villa che avevano affittato per l’estate, Falcone e la moglie sventarono un attentato. Lui a quel punto voleva  divorziare per salvarla, rendendosi conto che stargli a fianco stava diventando troppo pericoloso (la scorta trovò una borsa contenente una cassetta con 58 cartucce di esplosivo), ma lei non lo voleva lasciare per nessuna ragione. Accettò di convivere con la scorta (le viene assegnata nel 1980) e di convivere con la paura di morire. Per amore di suo marito e della giustizia.

Senza quella stessa devozione che condivideva con Giovanni forse non avrebbe sopportato una vita fatta di minacce, di pericoli, di libertà mancate. Ma sempre dalla stessa parte, in vita e nella morte: “No, non voglio pensare a quello che potrebbe succedere a Giovanni”, diceva Francesca, “lui deve continuare il suo lavoro, la sua vita è questa, non potrebbe farne a meno, e io devo stargli accanto. Felicità è andare in centro a far compere con mia madre”.

Tutto divenne più difficile quando Falcone, insieme al pool antimafia divenne uno dei maggiori nemici di Cosa Nostra insieme a Paolo Borsellino, e quando con i colleghi istruirono il “maxiprocesso” dopo le rivelazioni del pentito Buscetta. Nell’estate del 1985 rimasero blindati con le famiglie nel carcere dell’Asinara, in Sardegna.
Scrive Roberto Saviano: “La loro relazione non si alimentava di subalternità; il carburante era un progetto professionale, anche metafisico-romantico, quello di poter trasformare il Paese con lo strumento del Diritto. Giovanni Falcone e Francesca Morvillo erano uniti dalla malta di questo smisurato sogno”.

Il 23 maggio 1992 e quel biglietto postumo

Quel 23 maggio 1992 Giovanni Falcone era appena atterrato all’aeroporto di Palermo. Viaggiava a bordo di una Fiat Croma bianca assieme alla moglie seduta sul sedile del passeggero perché soffriva il mal d’auto, e all’autista Giuseppe Costanzo (che si salvò) sul sedile posteriore, mentre sulla Fiat Croma marrone che li precedeva si trovavano gli agenti della scorta Schifani, Montinaro e Dicillo.

Quando Giovanni Brusca azionò il telecomando le due auto saltarono in aria. "Dov'è Giovanni...?", furono le ultime parole di Francesca, raccolte da un poliziotto durante il trasporto in ospedale.
Tre anni dopo la strage il collaboratore di Falcone Giovanni Paparcuri che lo aveva aiutato nel trasloco da un ufficio a un altro trovò in una scatola, tra soprammobili e sigari, un libro con un biglietto al suo interno: "Giovanni, amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore, Francesca".
Furono quelle le sue ultime parole, eterne, che Falcone non lesse mai. 

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Foto apertura: leadermassimo/Wikimafia.it