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Di quando le donne afgane portavano la minigonna

I veri abiti della tradizione afghana e la lotta delle donne contro le nuove regole imposte dai talebani: un viaggio attraverso stoffe, colori, speranze. 

I veri abiti della tradizione afghana e la lotta delle donne contro le nuove regole imposte dai talebani: un viaggio attraverso stoffe, colori, speranze. 

Qual è la prima cosa che ti fa sorridere al mattino? Malalay non dovette neanche pensarci più di tanto: aprire il suo armadio e ammirare le splendide stoffe dei suoi abiti la metteva sempre di buon umore.

Quei colori così vivaci e accesi, la simmetria dei ricami e la leggerezza che provava ogni volta indossandone uno, la facevano sentire fiera della sua nazione. E quando si metteva a ballare in strada, in un momento di euforia, si bloccava sempre a fissare il vortice caleidoscopico creato dalla sua gonna in movimento.

Pensava che nessuno avrebbe mai potuto toglierle quegli attimi di gioia pura e un senso di gratitudine la legava da sempre alle tradizioni del suo popolo.

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C’è stato un tempo in cui le donne afghane erano felici. Indossavano gli abiti della tradizione.

Colorati. Estrosi. Unici.

Prima dell’ombra nera dei Talebani e dell’imposizione del burqa, c’era tanta luce. Il vero Afghanistan ha un guardaroba variegato.

Tra gli anni ‘50 e ‘70, Kabul era considerata la Parigi dell’Asia Centrale. Una città libera, in cui circolavano idee, cultura, sogni.

Le donne afghane indossavano minigonne, se e quando ne avevano voglia.

All’inizio degli anni ‘90, si insedia il primo governo talebano: viene applicata una versione estrema della shari’a e la purdah, la pratica che si basa sull’occultamento del corpo femminile, prende il sopravvento.

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Il 2001 (e la caduta del governo talebano) rappresentano un nuovo inizio: il popolo afghano si riprende ciò che è suo, la sua identità culturale e multiculturale, che esplode a partire dall’abbigliamento.

L’abito tradizionale femminile afghano è il Firaq partug, ed è composto da tre parti:

  • il chador, ovvero il velo, che può avere lunghezza variabile e che nella tradizione afghana lascia intravedere capelli, collo e le forme del corpo;
  • il firaq, abito stretto sul punto vita e lungo fino alle ginocchia, caratterizzato da colori molto accesi e da decorazioni a contrasto, che creano uno stacco netto tra la zona spalle-vita e quella vita-ginocchia;
  • il partug, ovvero la parte inferiore, formata da pantaloni a gamba larga e stretti alla caviglia.

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Prima del ritorno dei talebani, l’abbigliamento diventa un simbolo di libertà.

Rahida Rahimi, definita la Coco Chanel di Kabul, lancia nel 2015 il brand Laman, espressione della rinascita creativa della città.

Dalle sue parole emerge il bisogno di tutte le donne afghane di tornare a essere padrone della propria vita e della propria libertà di scelta. Anche nel vestire.

«La moda per me rappresenta una dichiarazione forte in una società conservativa. È espressione di me stessa come donna e come giovane afghana. Io dovrei avere il diritto di indossare i colori che voglio, come simbolo di libertà.

Il mio obiettivo è quello di mostrare un’immagine positiva dell’Afghanistan e, nello specifico, mostrare il talento delle donne afghane attraverso i miei disegni. Tutti fanno coincidere il burqa blu con l’Afghanistan e quindi ho pensato: caviamone fuori qualcosa di diverso e facciamo vedere a tutti di cosa sono capaci le donne afghane!».

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Il 15 agosto 2021 un nuovo buco nero ha spazzato via ogni cosa.

Le speranze in un futuro diverso.

Il cammino verso l’uguaglianza e la parità di genere.

La luce.

Alle donne viene vietato di lavorare fuori casa.

Alle donne vengono vietate le attività fuori casa se non accompagnate da un mahram, ovvero un parente stretto.

Le donne non possono trattare con i negozianti maschi. Non possono trattare con i dottori maschi. Non possono studiare in scuole e università.

Le donne devono indossare il Burqa. Sono previste frustate, botte e violenza verbale se non vestono secondo le regole talebane. Se hanno le caviglie scoperte.

Le donne non possono truccarsi. Non possono indossare tacchi. Non possono indossare vestiti con colori vivaci...

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La prima a farsi sentire è Bahar Jalali, ex docente di storia all’università americana in Afghanistan. Il burqa non fa parte della tradizione afghana.

Una semplice foto postata su Twitter e un messaggio potentissimo. «Questa è la cultura afghana. Indosso un abito tradizionale del mio paese».

Due hashtag si diffondono alla velocità che solo la rete può garantire.

#DoNotTouchMyClothes

#AfghanistanCulture

Le donne afghane ci mettono la faccia. Non hanno paura di mostrare i loro volti e riempiono il web con i veri abiti della tradizione. Un arcobaleno di tessuti intrecciati dal filo della libertà.

«Nessuna donna ha mai indossato il burqa nella storia dell’Afghanistan. È del tutto alieno alla cultura afghana. Ho postato la mia immagine in un abito tradizione per informare, educare e allontanare la disinformazione propagandata dai talebani», spiega Bahar Jalali alla BBC.

I vestiti della tradizione afghana rappresentano 5.000 anni di storia. E come ha ricordato Lima Halima Ahmad, 37enne fondatrice della Paywand Afghan Association, «La nostra cultura non è scura, non è in bianco e nero. È colorata, è bellezza, è arte, è artigianato».

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Malalay tira fuori il suo vestito più bello dall’armadio. Indossa le scarpe col tacco e inizia a ballare.

Foto apertura: Facebook Laman