Editoriali
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Non lasciamo da sole le donne afghane

Come aiutare le donne afghane in difficoltà: non restiamo a guardare inermi, non lasciamole sole. 

Come aiutare le donne afghane in difficoltà: non restiamo a guardare inermi, non lasciamole sole. 

Scrivo queste righe con il cuore in gola.

Mi viene in mente una frase del film MagnoliaNoi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiude con noi.

L’11 settembre è un ricordo adolescenziale per me, ma è uno di quei giorni che non si dimenticano. Come quello in cui gli americani sbarcarono in Sicilia ai tempi della seconda guerra mondiale, vivo e radicato tra i ricordi di mia nonna.

Il bombardamento mediatico genera la solita confusione. Clickbaiting selvaggio. Foto di essere umani stipati come fossero oggetti spiattellate ovunque sul web. Gente che si aggrappa alla vita. Il terrore che si diffonde.

Il tuo pensiero corre subito verso di loro. Le donne alle quali, 20 anni fa, avevamo promesso un futuro migliore, diverso, libero. Provi a immaginare la paura nei loro occhi. Fragili. Vulnerabili. Costrette a nascondersi.

Nel frattempo qualcuno posta l’ennesima foto al mare.

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La conferenza stampa dei talebani non si fa attendere. Sono diversi da come li ricordavamo. Non hanno timore delle telecamere e di farsi riprendere. Hanno imparato il nostro gioco: che dietro uno schermo siamo tutti più forti.

Il loro portavoce si chiama Suhail Shaheen. Lo senti pronunciare queste parole. «Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della Sharia. Lavoreranno fianco a fianco con noi. Non ci saranno discriminazioni».

Sarà vero? Come può non sentirsi discriminata una donna se costretta a indossare il burqa, anche per il solo istinto di sopravvivenza?

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Mahbouba Seraj ha 73 anni: è una delle attiviste più note in Afghanistan. La sua angoscia è quella di una donna che ne ha viste troppe. Le rassicurazioni non bastano. Dopo la caduta di Herat, a molte ragazze è già stato negato di andare all’università o di lavorare.

Si vocifera che i talebani stiano stilando una lista delle donne single del Paese, girando porta a porta: l’obiettivo è quello di darle in moglie ai soldati. Le foto di donne bellissime che decoravano le facciate dei palazzi vengono spazzate via da una mano di bianco.

Kabul si trasforma in una città fantasma, dove chi non riesce a fuggire - mettendo le sue speranze in uno zaino preparato di fretta - deve mettersi al sicuro. Il prima possibile.

Il futuro non è mai stato così incerto.

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La regista afghana Sahraa Karimi aveva scritto una lettera aperta chiedendo protezione già nelle scorse settimane. «Se i talebani prenderanno il controllo, io e altri artisti potremmo essere i prossimi sulla loro lista nera».

Ma l’Afghanistan non è solo Kabul.

Le donne afghane sono spesso madri di tanti figli.

Lontano dalla capitale, saper leggere e scrivere è una rarità.

La priorità è riuscire a sfamare le bocche presenti in casa. E per quello, serve un lavoro.

Scopri che una donna è riuscita a diventare sindaca. Si chiama Zarifa Ghafari. Ha 27 anni e ha sempre lottato per i diritti delle donne. Leggi le sue parole e ti senti stringere il petto. 

«Sono seduta qui in attesa che arrivino. Non c’è nessuno che aiuti me o la mia famiglia. Sto solo seduta con loro e mio marito. Non posso lasciare la mia famiglia. E comunque, dove andrei? Sono così distrutta. Non so su chi fare affidamento. Ma non mi fermerò ora, anche se verranno di nuovo a cercarmi. Non ho più paura di morire».

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Dal 1996 al 2001, quando i talebani erano al potere, le bambine non potevano andare a scuola. Le donne non potevano lavorare, né fare sport. Difficile non credere in un inevitabile e terrificante ritorno al passato.

Citando ancora il film Magnolia, Ancorarsi al passato è il modo migliore per non fare progressi.

Da 20 anni, tra le diverse associazioni che sostengono le donne afghane, c’è anche la Fondazione Pangea Onlus. Se vogliamo fare qualcosa - pur nella nostra impotenza - una donazione potrebbe essere un inizio.

Perché - oggi più che mai - è chiaro che siamo dei privilegiati e la battaglia delle donne afghane dovrebbe essere anche la nostra.

Non lasciamole sole.

Foto apertura: LaPresse