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Alessia, storia di una (ex) bambina invisibile

Donna transgender, ha cambiato nome e sesso all’anagrafe nel 2016: «Quella “M” sui documenti equivaleva ad andare in giro nuda». Fervente cattolica, di recente ha incontrato il Papa e gli ha regalato il suo libro autobiografico.

Donna transgender, ha cambiato nome e sesso all’anagrafe nel 2016: «Quella “M” sui documenti equivaleva ad andare in giro nuda». Fervente cattolica, di recente ha incontrato il Papa e gli ha regalato il suo libro autobiografico.

Alessia Nobile ha 43 anni e a lungo ha vissuto in un corpo non suo: nel 2016 è stata la prima donna transgender in Puglia (e una delle prime in Italia) a ottenere il cambio anagrafico di sesso senza essere costretta a sottoporsi a un intervento di riassegnazione chirurgica, appunto, del sesso.

Laureata e iscritta all’Albo degli assistenti sociali, da sempre incontra enormi difficoltà nel trovare lavoro. Un problema, quello di Alessia, comune a tantissime persone che hanno intrapreso il suo stesso percorso di transizione, iniziato molto tempo fa e raccontato nel libro La bambina invisibile: «Tratta la realtà transgender in modo soffice e naturale, così com’è. Inizia dall’infanzia e parla di tutto ciò che bisogna affrontare per riprendersi il proprio corpo: mette in risalto che non è una scelta o un capriccio. È come se l’anima fosse intrappolata in un corpo non suo. E quella bambina era invisibile perché nessuno la percepiva, tranne se stessa». Una storia vera che, chissà, potrebbe aver colpito persino Papa Francesco: Alessia ha infatti recentemente incontrato Bergoglio e gli ha donato una copia.

Ciao Alessia. Quando hai capito di essere nata nel corpo sbagliato?
Già a tre anni sapevo di essere una bambina. A quell’età tutto avviene tramite segni e richieste: dai colori, dai giocattoli, dai cartoni animati, dalla voglia di condividere i giochi con le bambine all’asilo, perché mi sentivo parte di quel nucleo. Le mie erano richieste naturali, percepite però in malo modo dal resto del mondo, genitori compresi.

E crescendo?
In seguito ho riscontrato le stesse problematiche a scuola, a educazione fisica e ricreazione. A un certo punto ho pensato che i miei desideri fossero in effetti sbagliati, quindi ho tentato di smettere. Tutto è cambiato quando mi sono resa conto di essere attratta dal mio stesso sesso, che in realtà era l’altro, visto che mi sentivo femmina. A proposito, in generale non mi piace parlare di “disforia di genere”, perché si rischia di farla sembrare una malattia. E anziché di normalità, preferisco parlare di regolarità e unicità, perché ogni persona è diversa e questa è la sua bellezza.

alessia nobile bambina invisibile

Come è iniziato il tuo percorso di transizione?
Ho 43 anni, dunque parliamo di quasi tre decenni fa. Non c’era Internet e le informazioni erano scarse. Oggi è più facile intraprendere il percorso di transizione, anche da autodidatta: io ho capito che potevo dopo aver visto una donna transgender in discoteca: «Allora si può diventare donna. Io sono quella».

E cosa hai fatto?
Appena mi sono resa conto di poter rinascere con il mio corpo ho iniziato una serie di procedimenti. Il Policlinico Bari, che nel reparto di psichiatria affrontava appunto la disforia di genere, mi hanno introdotto al percorso. In parallelo con i colloqui con gli psicologi, in quel periodo ho iniziato a cambiare il mio corpo, ma niente di eccessivo: ho rimosso la peluria e fatto crescere i capelli.

Perché ti sei trattenuta?
Stavo frequentando l’università e all’epoca la “carriera alias” non esisteva. Per cui mi sono laureata con il nome maschile, vestendomi da uomo. Terminati gli studi, mi sono sottoposta alla mastoplastica. Io ho effettuato in regime privato l’intervento, che come quello di riassegnazione chirurgica del sesso è coperto dal Servizio Sanitario Nazionale, in caso di persistente e ben documentata incongruenza di genere.

Perché la scelta del regime privato?
Volevo accelerare i tempi. Quelli del Servizio Sanitario Nazionale possono essere estremamente lunghi: prima due o tre anni di incontri con lo psicologo, poi tutto dipende dai fondi regionali. Se mancano, il processo può benissimo arenarsi.

E per quanto riguarda le terapie ormonali?
Prima dell’intervento sono consigliate ma non obbligatorie. Ho preferito evitare di assumere farmaci a vita. Alla fine ognuno può personalizzare il proprio percorso: c’è ad esempio chi non ha testa e voglia di affrontare la burocrazia necessaria per cambiare i documenti.

Tu non hai fatto l’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso. Hai invece affrontato la trafila del cambio nome.
Quando l’ho fatto, senza intervento ai genitali toccava tenere nome e sesso assegnati alla nascita. Nel 2016, anche grazie al mio avvocato, ho vinto la causa e sono stata la prima in Puglia a ottenere il cambio all’anagrafe, senza l’intervento chirurgico.

Quanto era importante per te diventare ufficialmente Alessia?
Importantissimo. Dopo aver cambiato corpo, ma non nome, non ero riconosciuta come donna. In aeroporto, all’ufficio postale, sul curriculum ai colloqui di lavoro: per me quella “M” sui documenti equivaleva ad andare in giro nuda. Raccontava la mia intimità e non era giusto. Inoltre, se avessi avuto un problema di salute sarei stata ricoverata nel reparto maschile e lo stesso in carcere, chissà, in caso di arresto.

Ti ho già intervistata in passato. Mi avevi raccontato di essere una sex worker, costretta dalle difficoltà nel trovare lavoro. I problemi continuano?
Nel lavoro le difficoltà sono enormi, non c’è inclusione. Sono laureata e abilitata come assistente sociale, regolarmente iscritta all’albo dal 2005. Ma in Italia le persone vengono valutate in base all’aspetto, le competenze non contano. Mi viene da pensare alla povera Cloe Bianco, la professoressa che si è tolta la vita. La sua morte è stata strumentalizzata: si è presa il suo corpo durante il lavoro ed è stata allontanata. Ma chi quel corpo ce l’ha già e rimane disoccupata?

Di chi è colpa di tutto ciò?
Di sicuro non del Vaticano: la Chiesa troppo spesso viene usata come capro espiatorio per giustificare i limiti della nostra società. Se le persone transgender non trovano lavoro in Italia è colpa degli imprenditori e di chi in generale non assume, non del Vaticano. È una scusa che mi ha stufato. Anche perché, quanta gente va in chiesa ormai?

A proposito, qual è il tuo rapporto con la fede?
Sono credente. Vengo da famiglia molto religiosa, cattolica. Frequentavo la parrocchia, ho fatto anche il chierichetto: la fede mi è servita a non perdermi.

libro alessia nobile papa francesco

A questo punto non possiamo non parlare del tuo incontro con Francesco. Com’è stato possibile?
È successo grazie a suor Genevieve, una religiosa francese amica del Papa, che vive in contatto diretto con gli ultimi. Quando mi hanno chiesto se volessi incontrare il Pontefice, ho detto di sì. Insieme a me, Francesco ha ricevuto altre cinque donne transgender, tutte straniere. Non ha voluto che mi inginocchiassi al suo cospetto: «Brava, hai fatto bene a scrivere questa storia», mi ha detto, sottolineando che non importava se fossi biologicamente donna o transgender.

Una domanda leggera: quanto ci hai messo a decidere come vestirti per incontrare il Papa?Pochissimo. Ho messo una camicetta a maniche corte, gonna sotto al ginocchio e stivaletti. E ci ho messo pochissimo a decidere: mi piace indossare abiti scollati e minigonne, dunque la scelta era limitata (ride, ndr)!

Sul libro hai scritto una dedica per il Papa?
No, perché davvero fino all’ultimo non pensavo davvero di poter consegnare La bambina invisibile a Francesco. Mi sono detta: «Se ci metto la dedica, poi che ci faccio?».