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Donne contro gli stereotipi: lo speciale

PEOPLE: L'ATTUALITA'
PEOPLE: L'ATTUALITA'

Amanda Gorman, la poetessa star dell'Inauguration Day

Con la poesia The Hill We Climb, La collina che scaliamo, la giovane attivista ha parlato delle ferite dell'America da guarire. Il suo sogno? Presidentessa nel 2036.

Con la poesia The Hill We Climb, La collina che scaliamo, la giovane attivista ha parlato delle ferite dell'America da guarire. Il suo sogno? Presidentessa nel 2036.

Ha conquistato l'America con un poema, recitato con movenze che sembrano quasi richiamare i più celebri rapper. Ha conquistato Jill Biden, Michelle Obama e Hillary Clinton. Tra le stelle che hanno brillato nell'Inauguration Day, quella che ha brillato più forte di tutte è stata Amanda Gorman. Rivolgendosi al neo presidente degli Stati Uniti Joe Biden, alla First Lady, all'America e al mondo, Gorman ha recitato il poema The Hill We Climb, La collina che scaliamo.

Chi è Amanda Gorman

Nata a Los Angeles nel 1998, Amanda Gorman è stata cresciuta da sua madre Joan Wicks, insegnante, insieme a due sorelle. Ha una gemella, Gabrielle, che come lei è diventata un'attivista. Si battono contro l'oppressione, per la causa femminista, razziale e contro la marginalizzazione. 

«Come teenager, posso testimoniare gli effetti rivoluzionari e gratificanti della poesia», ha dichiarato in un intervento pubblicato sull'Huffington Post. Amanda Gorman ha sofferto di un disturbo del linguaggio, proprio come Joe Biden, che non ha mai fatto mistero dei suoi problemi con la balbuzie. La poesia e un corso di scrittura presso WriteGirl le hanno dato la fiducia necessaria a trovare la sua voce. 

«Non guardo alla mia disabilità come a una debolezza. Mi ha reso la performer che sono e la storyteller che volevo diventare. Quando devi insegnare a te stessa come pronunciare i suoni, quando devi concentrarti con impegno sulla pronuncia, ti dà una certa consapevolezza delle sonorità, dell'esperienza del pubblico»

I primati di Amana Gorman

Laureata con lode in sociologia ad Harvard, Amanda Gorman combatte ancora oggi con la pronuncia di alcune parole, ma è niente rispetto alla forza che mette nelle cause che le stanno davvero a cuore. Ispirata dal discorso di un'altra grande donna contro gli stereotipiMalala Yousafzai, attivista pachistana e premio Nobel per la pace, Gorman è diventata una delle giovani delegate delle Nazioni Unite. 

Inoltre, a 16 anni, è stata la prima giovane poetessa laureata di Los Angeles. Nel 2015 ha dato alle stampe la sua raccolta di poesia The One for Whom Food Is Not Enough. Ha scritto anche un libro per bambini, Change Sings, e un'altra raccolta è in arrivo per Penguin Random House. Ha letto le sue poesie perfino per MTV.

Nel 2017 ha fatto la storia diventando la prima a poter vantare il titolo di National Youth Poet Laureate, nominata da UrbanWorld e dalla Library of Congress.

Inauguration Day: la scelta di Jill Biden

A volere Amanda Gorman sul palco di Capitol Hill è stata la nuova First Lady Jill Biden. Fresca di National Youth Poet Laureate, titolo ambito dai giovani scrittori americani, la moglie del neo presidente aveva avuto modo di apprezzare il talento della giovane artista durante una lettura alla Library of Congress. Da qui l'invito a far parte di un giorno storico. 

Con la performance del 20 gennaio, Amanda Gorman è entrata in un ristretto club di poeti intervenuti in chiusura delle cerimonie di insediamento presidenziale: tra gli altri Robert Frost per John F. Kennedy, Maya Angelou per Bill Clinton e Richard Blanco per Barack Obama.

Si è definita «una ragazzina magra afro-americana cresciuta da una mamma single, sogna un giorno di diventare presidente (pensa di candidarsi nel 2036, ndr) e oggi recita all’insediamento di un presidente». 

Presidentessa nel 2036

Amanda Gorman sogna di correre per la presidenza degli Stati Uniti nel 2036, anno in cui sarà abbastanza grande per poterlo legalmente fare. Il sogno di varcare la soglia della Casa Bianca come presidentessa di colore le è stato ispirato dalla vittoria di Kamala Harris

«Non si può negare che la sua vittoria sia anche quella di tutti noi che vogliamo essere rappresentati da una donna di colore. Una volta che delle ragazzine possono vederlo, quelle ragazzine possono esserlo. Perché possono essere tutto ciò che vogliono, ma questa rappresentazione che fa sì che il sogno esista è importantissimo - anche per me».

I passaggi più importanti di The Hill We Climb

Tra i momenti più toccanti della cerimonia, ci sono stati quelli in cui Amanda Gorman ha pronunciato i seguenti due passaggi:

«Anche quando abbiamo sofferto, siamo cresciuti, anche quando ci siamo feriti abbiamo sperato e quando ci siamo stancati ci abbiamo provato. Non ci faremo spingere indietro o piegare dalle intimidazioni perché sappiamo che la nostra inazione e la nostra inerzia diventeranno il futuro».

«Abbiamo visto una forza che avrebbe distrutto il nostro paese se avesse significato rinviare la democrazia. Questo sforzo è quasi riuscito. Ma se può essere periodicamente rinviata, la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta».

Il testo completo di The Hill We Climb

When day comes, we ask ourselves, where can we find light in this never-ending shade?

The loss we carry. A sea we must wade.

We braved the belly of the beast.

We’ve learned that quiet isn’t always peace, and the norms and notions of what “just” is isn’t always justice.

And yet the dawn is ours before we knew it.

Somehow we do it.

Somehow we weathered and witnessed a nation that isn’t broken, but simply unfinished.

We, the successors of a country and a time where a skinny Black girl descended from slaves and raised by a single mother can dream of becoming president, only to find herself reciting for one.

And, yes, we are far from polished, far from pristine, but that doesn’t mean we are striving to form a union that is perfect.

We are striving to forge our union with purpose.

To compose a country committed to all cultures, colors, characters and conditions of man.

And so we lift our gaze, not to what stands between us, but what stands before us.

We close the divide because we know to put our future first, we must first put our differences aside.

We lay down our arms so we can reach out our arms to one another.

We seek harm to none and harmony for all.

Let the globe, if nothing else, say this is true.

That even as we grieved, we grew.

That even as we hurt, we hoped.

That even as we tired, we tried.

That we’ll forever be tied together, victorious.

Not because we will never again know defeat, but because we will never again sow division.

Scripture tells us to envision that everyone shall sit under their own vine and fig tree, and no one shall make them afraid.

If we’re to live up to our own time, then victory won’t lie in the blade, but in all the bridges we’ve made.

That is the promise to glade, the hill we climb, if only we dare.

It’s because being American is more than a pride we inherit.

It’s the past we step into and how we repair it.

We’ve seen a force that would shatter our nation, rather than share it.

Would destroy our country if it meant delaying democracy.

And this effort very nearly succeeded.

But while democracy can be periodically delayed, it can never be permanently defeated.

In this truth, in this faith we trust, for while we have our eyes on the future, history has its eyes on us.

This is the era of just redemption.

We feared at its inception.

We did not feel prepared to be the heirs of such a terrifying hour.

But within it we found the power to author a new chapter, to offer hope and laughter to ourselves.

So, while once we asked, how could we possibly prevail over catastrophe, now we assert, how could catastrophe possibly prevail over us?

We will not march back to what was, but move to what shall be: a country that is bruised but whole, benevolent but bold, fierce and free.

We will not be turned around or interrupted by intimidation because we know our inaction and inertia will be the inheritance of the next generation, become the future.

Our blunders become their burdens.

But one thing is certain.

If we merge mercy with might, and might with right, then love becomes our legacy and change our children’s birthright.

So let us leave behind a country better than the one we were left.

Every breath from my bronze-pounded chest, we will raise this wounded world into a wondrous one.

We will rise from the golden hills of the West.

We will rise from the windswept Northeast where our forefathers first realized revolution.

We will rise from the lake-rimmed cities of the Midwestern states.

We will rise from the sun-baked South.

We will rebuild, reconcile, and recover.

And every known nook of our nation and every corner called our country, our people diverse and beautiful, will emerge battered and beautiful.

When day comes, we step out of the shade of flame and unafraid.

The new dawn balloons as we free it.

For there is always light, if only we’re brave enough to see it.

La traduzione in italiano della poesia di Amanda

If only we’re brave enough to be it.

La traduzione della poesia di Amanda Gorman

Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.

Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un’unione perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo.
(Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.
Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più essere testimoni di divisioni.

Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.  
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scorsso il nostro Paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse rinviato la democrazia.
Questo sforzo è quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rinviata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
In questa verità, in questa fede, noi crediamo,
Finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti ad essere gli eredi di un lascito tanto orribile,
Ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci siamo chiesti: “Come possiamo avere la meglio sulla catastrofe?”. Oggi ci chiediamo: “Come può la catastrofe avere la meglio su di noi?”.

Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma marceremo verso quello che dovrebbe essere:
Un Paese che sia ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro solo lascito e il cambiamento, un diritto di nascita per i nostri figli.

Perciò, fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.