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Dark Tourism: ex URSS

Un turista del macabro che si rispetti non può assolutamente mancare una visita a Chernobyl. Ma anche il poligono kazako dei test nucleari e una pericolosa (ex) isola sul lago d’Aral hanno il loro fascino.

Un turista del macabro che si rispetti non può assolutamente mancare una visita a Chernobyl. Ma anche il poligono kazako dei test nucleari e una pericolosa (ex) isola sul lago d’Aral hanno il loro fascino.

Continua il giro attorno al mondo di DeAbyDay dedicato al dark tourism. Se Stati UnitiGiappone, Messico e Colombia offrivano destinazione dalle caratteristiche eterogenee, quelle proposte in questo (piuttosto ampio, va detto) itinerario nei Paesi dell’ex Unione Sovietica ha un unico comune denominatore: Guerra Fredda.

Dark Tourism ex URSS: La centrale nucleare più famosa

La prima tappa è la più famosa tra gli appassionati di turismo macabro e non ha bisogno di grandi presentazioni. Si tratta di Chernobyl. Cosa c’entra con la Guerra Fredda? Secondo molti, il disastro nucleare che si verificò tra il 25 e 26 aprile 1986 accelerò proprio la fine delle ostilità con gli Stati Uniti. Per i complottisti, fu addirittura causato da una spia americana.

Ad ogni modo, se a distanza di oltre 30 anni qui sono tornati lupi e volpi, nel frattempo sono arrivati anche tanti turisti, una specie totalmente sconosciuta in passato. Ma qui dove? È necessario fare un po’ di chiarezza: la centrale dove si è verificato il più grande disastro nucleare della storia, con livelli di radioattività 20 volte superiori a quelli causati dal bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, si trova a Pripyat e non a Chernobyl, distante 18 km. Fino a poco tempo fa qui le visite non erano autorizzate: bisognava venirci di nascosto, a proprio rischio e pericolo. Oggi invece ci sono addirittura gite che partono da Kiev e, in giornata, permettono di vedere (a distanza) il famigerato reattore numero 4, l’iconica ruota panoramica del luna park di Pripyat, i suoi caseggiati abbandonati e persino la cosiddetta ‘foresta rossa’, che fu spazzata via dalla nube tossica. Nell’area compresa entro 30 km dal luogo dell’incidente, conosciuta come zona di alienazione, è vietato vivere o svolgere attività commerciali, ma l’accesso è concesso ai turisti. Che, se non rimangono a lungo ed evitano di allontanarsi, non corrono alcun il rischio radioattivo. Tutto molto macabro e controllato.

Nel poligono dei 500 test nucleari

Tra il 1949 e il 1989 l’Unione Sovietica fece brillare oltre 450 ordigni nel poligono nucleare di Semipalatinsk, sia in atmosfera che nel sottosuolo. Qui l’Urss esplose la sua prima bomba atomica, Piervaja molnija, con 22 kilotoni di energia al plutonio. Oltre 450 ordigni, dicevamo. C’è chi sostiene quasi 500. Uno al mese, calcolatrice alla mano. Un numero impressionante, che oggi attira un numero certamente meno impressionante di turisti in Kazakistan, per la precisione nella cittadina di Kurčatov, a 400 km dalla capitale Astana e a un centinaio da Semej, che fino al 2007 si chiamava proprio Semipalatinsk.

Durante gli anni dei test, le radiazioni contaminarono oltre 220 mila civili, molti dei quali morirono a causa di tumori e mutazioni genetiche, Poi un giorno il poligono fu chiuso. Era il 29 agosto 1991. Oggi si può passeggiare tranquillamente nel centro abitato di Kurčatov, che a causa del drastico calo della popolazione (da oltre 40 mila abitanti a meno di 10 mila) in larga parte somiglia a una ghost town. Interessante anche il piccolo museo della città dedicato alle attività nucleari, imperdibile una foto accanto alla statua dedicata al fisico Igor Kurčatov, che dal 1942 fu direttore scientifico del programma atomico sovietico (la città prima di chiamava Degelen). Un consiglio: per visitare i luoghi dei test è meglio affidarsi a una guida del posto, perché altrimenti è molto probabile essere fermati dalla polizia kazaka. Anche se nel poligono non c’è niente da nascondere. Forse.

Foto: bizoon © 123RF.com

Dove l'URSS preparava la guerra batteriologica

La terza e ultima tappa ci porta esattamente al confine tra Kazakistan e Uzbekistan. Per la precisione sull’isola di Vozroždenie, divisa a metà tra i due Paesi. In realtà sarebbe più opportuno parlare di ex isola, visto che a causa del progressivo ritiro delle acque il lago d'Aral è ormai raggiungibile in auto. Vozroždenie significa ‘rinascita’ e c’è molta ironia in questo, dato che al momento non potrebbe essere più morta e a proliferarvi sono solo pericolosi batteri. Durante la Guerra Fredda, l’isola fu trasformata in uno dei principali laboratori sovietici per la produzione di armi biologiche: qui, come raccontano documenti ormai desecretati, furono immagazzinate armi capaci di sprigionare spore di antrace e bacilli di peste bubbonica. Che, da qualche parte, sono ancora là, in involucri ormai deteriorati.

L’unico insediamento dell’isola, ufficialmente denominato Aralsk-7 ma chiamato Kantubek dai suoi abitanti, era di fatto una base che aveva al suo interno, oltre ai laboratori scientifici, alloggi per il personale e le famiglie, una scuola, una cinema e una pista in terra battuta per l'atterraggio di aeromobili. Contava circa 1500 abitanti e fu abbandonato in fretta e furia nel 1994, con un’evacuazione durata meno di 24 ore. Secondo gli esperti l’ex isola è oggi uno dei luoghi più contaminati del pianeta, ma non c’è un divieto ufficiale di visitare Vozroždenie. Forse perché già l’idea è abbastanza folle. Chissà. Per i dark tourist più impavidi un consiglio: portatevi acqua, cibo e una tanica di benzina, perché a parte qualche relitto per centinaia di km non si vede altro che il deserto.

Foto apertura: Ihor Cherednychenko © 123RF.com