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Mariangela Zappia: 61 anni, prima ambasciatrice italiana negli Stati Uniti

Oggi ricopre il ruolo diplomatico più importante del nostro Paese, ma ci sono voluti 30 anni di carriera per arrivarci: ecco cosa crea il "soffito di cristallo" da sfondare

Oggi ricopre il ruolo diplomatico più importante del nostro Paese, ma ci sono voluti 30 anni di carriera per arrivarci: ecco cosa crea il "soffito di cristallo" da sfondare

«Un primo giorno impegnativo è un ottimo inizio». Inizia con questa frase uno dei tweet di Mariangela Zappìa, la nuova e prima ambasciatrice italiana negli Stati Uniti. Dopo 30 anni dal suo ingresso nell'istituzione diplomatica italiana e dopo molti primati, grazie alle scelte di Mario Draghi, Zappìa conquista l'avamposto estero più importante del nostro Paese.

Chi è Mariangela Zappia

Mariangela Zappìa Caillaux è nata a Viadana il 12 agosto. Laureata in Scienze Politiche all'Università di Firenze nel 1981, ha frequentato un corso annuale di specializzazione in studi diplomatici presso lo stesso ateneo. 

Nel 1983, dopo aver superato l'esame di concorso, Zappìa accede alla carriera diplomatica: prima viene assegnata al Contenzioso Diplomatico, quindi alla Direzione Generale per gli Affari Politici presso l'Ufficio Maghreb e Medio Oriente. Nel 1986 è nominata Secondo segretario commerciale a Dakar e, l'anno successivo, è promossa Primo segretario di legazione, presso la stessa sede. 

Il primo incarico negli Stati Uniti arriva nel 1990, quando assume il ruolo di console aggiunto presso il Consolato Generale d'Italia a New York. Nel 1993 è promossa Consigliere di legazione. Al suo rientro alla Farnesina, lavora all'Ufficio Stampa e Informazione fino al 1997, quando viene nominata Consigliere per l'emigrazione e gli affari sociali a Bruxelles. 

Nel 2000 viene promossa Consigliere di ambasciata e viene confermata a Bruxelles con funzioni di Primo consigliere per l'emigrazione e gli affari sociali. Alla fine dello stesso anno ricopre la carica di Primo consigliere presso la Rappresentanza italiana alle Nazioni Unite a New York

Dal 2003 al 2006 ha sospeso gli impegni professionali per dedicarsi a tempo pieno alla famiglia. Torna al lavoro nel gennaio 2007, continuando la propria ascesa. Nel 2010 diventa ministra plenipotenziaria, un incarico di rango immediatamente inferiore a quello di ambasciatrice. Nel giugno 2014 il Consiglio dei Ministri la nomina Ambasciatrice italiana (recte, "Rappresentante Permanente") presso il Consiglio Atlantico a Bruxelles, diventando così la prima donna a ricoprire tale prestigioso incarico diplomatico fino al 2016. 

Il 31 luglio 2018 Zappìa viene nominata Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York e dall'11 marzo 2021 diventa la prima ambasciatrice italiana a Washington, sostiuendo Armando Varricchio, che diventerà ambasciatore italiano in Germania.

Una carriera vietata alle donne

Come scrive Lorenzo Tosa nel suo post su Facebook, «in pochi lo sanno, ma fino al 1960 la carriera diplomatica era addirittura vietata alle donne, considerate fisicamente “troppo deboli” per un lavoro così stressante. Bisognerà attendere altri sette anni per vedere la prima donna ambasciatrice e addirittura il secolo successivo per un incarico veramente di peso».

La prima a espugnare il Ministero degli Affari Esteri del suo Paese fu una brasiliana, Maria José Rebello Mendes: aveva 27 anni, nel 1918, e superò gli otto uomini in concorso. La prima europea al tavolo della Nato, una delle ultime roccaforti maschili, è stata una diplomatica lituana, Ginte Damušis, nel 2003. Zappìa ci è arrivata nel 2014.

Anche il Medio Oriente ha le sue pioniere: l’iraniana Mehrangiz Dolatshahi, inviata come ambasciatrice in Danimarca dallo Scià Reza Pahlavi nel 1975. Nel 2015 è stata la volta di Marzieh Afkham, la seconda ambasciatrice a rappresentare l'Iran oltre i confini, in Malesia. Da febbraio 2019 l'Arabia Saudita ha un'ambasciatrice, la principessa Rima bint Bandar al Saud, militante per i diritti delle donne, destinata a Washington.

Secondo la professoressa di Storia Contemporanea all'Università di Parigi 1 Panthéon-Sorbonne Laurence Badel, se il corpo delle donne è stata la prima barriera naturale, «fino a non molti anni fa, l'ostacolo principale è stato la barriera del matrimonio». Inoltre, si sosteneva che la tenuta protocollare di un ambasciatore, in passato una vera e propria uniforme, stonava con il corpo femminile.

«Per troppo tempo si è pensato che il corpo femminile fosse troppo debole per sopportare le fatiche e gli stress di un ambasciatore in paesi lontani, magari tropicali. Come se gli uomini non si ammalassero o non potessero soffrire di depressione», sostiene Badel, autrice di un'indagine nel mondo diplomatico continentale degli ultimi due secoli, Diplomaties européennes, XIXe-XXIe siècles (edito da Presses de Science Po).

La svolta c'è stata nel 2000, quando è stata approvata all’unanimità la risoluzione Onu numero 1325, che istituì l’agenda Donne, pace e sicurezza, dove si enfatizza il ruolo delle donne, non solo come vittime dei conflitti, ma come «protagoniste nei processi di pacificazione».

I numeri in Italia

Nel 1960 una sentenza della Corte Costituzionale italiana stabilì l'illegittimità della esclusione delle donne dalla carriera e dagli uffici diplomatici. Oggi, secondo l’annuario statistico 2020 del Ministero degli Esteri, in Italia la percentuale di donne in carriera diplomatica è stabile da qualche anno al 23 per cento, ci sono 4 donne ambasciatori di grado (su 25 totali) e 22 ministre plenipotenziarie (su 83), i due gradi più alti della diplomazia: in tutto ci sono 232 donne su 1.018 incaricati diplomatici italiani.

«La battaglia per i diritti umani, e in particolare per quelli delle donne, è un tratto caratterizzante della nostra politica estera - affermava l’ambasciatrice Zappìa in un’intervista concessa a Huffington Post nel 2019 - Dobbiamo impegnarci a diffondere una cultura del rispetto e della pari dignità, partendo dall’istruzione e garantendo alle donne pari possibilità di partecipare ed incidere concretamente sui processi decisionali in ogni settore». La sua nomina e il suo curriculum dimostrano che la missione è possibile.

Foto apertura: U.S. Mission Geneva/ Eric Bridiers