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Andrea Batilla: «Il jeans? Da simbolo di ribellione a segno di globalizzazione»

Il jeans: un must have per quasi tutti. Ma è davvero, come viene spesso percepito, un capo d'abbigliamento innocente e democratico? Ne ripercorriamo la storia con Andrea Batilla. 

STEREOTIPO: Il jeans è considerato il capo d’abbigliamento più democratico, più donante, più comodo e quello che più risolve ogni tipo di situazione. Associamo questo capo alla libertà, all’aria aperta, al selvaggio west ma anche a prezzi accessibili e questo lo rende un must have per quasi tutti. Ma siamo sicuri che il jeans sia così innocente e democratico? Dove e da chi vengono prodotti i nostri jeans? E a che prezzo?

RIBALTAMENTO STEREOTIPO: I jeans per come li conosciamo oggi sono stati inventati dal signor Levi Strauss nel 1871 a San Francisco come capo di abbigliamento per le classi più povere di operai, agricoltori e allevatori di bestiame (cioè cow-boys). Il nome viene da Gênes, francese per Genova, che era il luogo da cui nell’800 partivano le materie prime, cioè i tessuti di cotone che alimentavano le fabbriche americane. Il termine blu nella parola blu jeans si riferisce invece alla tintura indaco che veniva usata per dare il caratteristico colore che con il tempo sbiadiva e che veniva ricavata da una pianta messa a macerare nell’urina di cavallo.

I jeans diventano un capo di abbigliamento popolare tra gli anni 50 e 60 grazie a superstar come Marlon Brando, James Dean e Elvis Presley  e a tutta la Beat Generation che ne fanno un simbolo di ribellione adatto alla nuova generazione di giovani che volevano liberarsi una volta per tutte dall’insostenibile regolamentazione dei genitori. Da quel momento il jeans è diventato uno dei capi più duttili e dinamici dell’abbigliamento maschile e femminile assumendo, a seconda della moda del momento, connotazioni erotiche, punk, grunge o addirittura eleganti.

Oggi il mercato del jeans vale globalmente circa 100 miliardi di dollari ed è il capo più comprato al mondo: ogni anno vengono prodotti 2 miliardi di jeans. Questo vuol dire che mediamente un adulto arriva ad avere 6/7 paia di jeans nell’armadio di cui ciclicamente si disfa per comprarne di nuovi.

In pochi però sanno che per produrre un paio jeans sono necessari 9.500 litri di acqua, partendo dal cotone, passando per la filatura, la tessitura e i lavaggi. Per essere tinto con il caratteristico colore blu che delava vengono usati componenti chimici spesso tossici che poi, in aree non particolarmente controllate come Cina o Bangladesh, vengono sversati nei fiumi e inquinano le falde di acqua potabile. Infine per arrivare ad un costo che può anche essere di 9.90 euro viene usata una forza lavoro in gran parte sottopagata se non addirittura sfruttata.

CONCLUSIONI: Il jeans è passato da essere un simbolo di ribellione a uno dei segni più evidenti della globalizzazione. Se vogliamo cominciare a pensare in termini di sostenibilità dovremmo comprarne meno e cercare marchi che ci spiegano chiaramente tutto il ciclo produttivo.

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